Palazzo Reale a Milano ospita dal 26 febbraio al 6 giugno, grazie alla collaborazione con il Leopold Museum di Vienna, la mostra dedicata a Egon Schiele e al suo tempo.
Forse meno conosciuto al grande pubblico del suo mentore Gustav Klimt o di un rivale espressionista come Oscar Kokoschka, Schiele incarna alla perfezione con la sua breve ed intensa parabola personale ed artistica lo spirito di un’epoca e di una cultura che hanno contribuito a modellare l’intero Novecento.
Si forma nella Vienna Felix degli anni a cavallo tra i due secoli, magnifica capitale di un impero austroungarico all’apogeo del suo splendore e che pure comincia a mostrare le prime incrinature.
Segnali disattesi di un declino ormai prossimo.
La stessa città raccontata con maestria e malinconia nei romanzi di Musil, Zweig, Roth e acremente dileggiata e messa alla berlina da Karl Kraus.
Il giovane Schiele partecipa con passione alla ribellione degli artisti della Secessione contro i dettami dell’accademia in nome di un’arte che vuole al tempo stesso essere espressione profondamente individuale ed assolvere ad una funzione sociale migliorando la qualità della vita umana.
Il motto che li contraddistingue è: “Per ogni tempo la sua arte / per ogni arte la sua libertà”.
Ma il suo percorso rimane sempre orgogliosamente personale. Se nelle prime opere è evidente l’influsso dello stile elegantemente decorativo di Klimt, assolutamente originale è il quasi impudico autobiografismo degli autoritratti.
Una sorta di diario degli stati d’animo che caratterizzerà tutta la sua produzione e che rivela l’altro grande influsso culturale sulla sua opera, quello della psicanalisi freudiana.
E se il suo cognome in tedesco richiama il guardare sottecchi, in tralice, quasi come una sfida Schiele decide di sperimentare la profondità della visione.
Nessuna dimensione della vita sfugge al suo occhio impietoso eppure non privo di compassione: dall’erotismo, dalla sensualità e dalla femminilità, esplorati con una disinibizione che arriverà a costargli il carcere, al misticismo, frutto dell’esperienza della detenzione, alla solitudine dei paesaggi di campagna ed urbani, alla rarefazione delle nature morte.
Sopravviverà alla I guerra mondiale per morire, insieme all’Impero che lo aveva visto nascere, nel 1918, a 28 anni, vittima, insieme alla moglie e al figlio non ancora nato, della micidiale epidemia di spagnola.
Ma con la consapevolezza espressa nelle ultime parole alla madre di aver creato qualcosa di destinato a restare: “La guerra è finita, e io devo andare. I miei quadri saranno esposti in tutti i musei del mondo”.
mercoledì, marzo 17, 2010
Vienna Felix e Finis Austriae
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