lunedì, settembre 07, 2009

ricordi di letture estive: Geoff Dyer o l'arte di descrivere

“La cantante levava le mani in aria come se i suoi suoni crescessero lì e, a condizione di raccoglierli all’infinito, senza interruzione, non sarebbero mai venuti a mancare.
I musicologi fanno un gran parlare del tono perfetto, ma a me quella voce faceva pensare a una postura perfetta: i capelli lunghi e dritti come una schiena flessuosa; i piedi scalzi dalle movenze così leggere che quasi non toccavano terra.
La voce era garanzia di assoluta devozione; ma poi la nota si protaeva ancora, andava oltre, e tu ti domandavi cosa avresti dovuto fare per meritarti tanta devozione, tanto amore. Avresti dovuto essere quella nota, non l’oggetto di devozione, bensì il devoto.
La voce scivolava e scendeva in picchiata. Sembrava uno di quei momenti perfetti nella vita, quando la cosa che più ti auguri si realizza e, realizzandosi, si tramuta - si tramuta, nella fattispecie, in suono: quando, in un luogo pubblico, scorgi le persone che più desideri vedere e la cosa non ti sorprende affatto: lo schema nella casualità, quando il caso scivola nel destino.
Una nota si protrasse ai limiti del possibile, e poi un po’ di più: continuò, da qualche parte, molto dopo che fosse capace di farsi udire. E’ ancora lì, anche adesso.”
Geoff Dyer, Amore a Venezia Morte a Varanasi, Einaudi

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