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lunedì, maggio 24, 2010

come in un film

(l'ispirazione viene da qui)
centro di Milano, un febbraio gelido e ventoso.
uno di quei marciapiedi lunghi che separano le corsie su cui aspetti il tram.
noi che ci salutiamo di fronte ad altri colleghi - siamo la storia segreta peggio custodita dell’universo e facciamo finta di non saperlo.
lui se ne sta andando.
dall’azienda, dalla città, forse anche da noi.
un abbraccio rigido, un po’ goffo, imbarazzato.
baci trattenuti sulle guance, un “ciao, in bocca al lupo” quasi ingoiato dal vapore del respiro.
sta arrivando la 54, gli altri ci girano le spalle e se ne vanno.
ci siamo sciolti dall’abbraccio, ma lui continua a tenermi la mano anche quando cerco di staccarmi perché non voglio che mi veda con gli occhi pieni di lacrime.
non ho la forza di dare l’ultimo strappo.
non lo voglio davvero.
e lui mi lascerà andare solo quando si chiuderanno le porte.
in quel momento ho saputo che a dispetto di tutto non era finita…

http://www.youtube.com/watch?v=BA266naCH_0

mercoledì, marzo 17, 2010

Vienna Felix e Finis Austriae

Palazzo Reale a Milano ospita dal 26 febbraio al 6 giugno, grazie alla collaborazione con il Leopold Museum di Vienna, la mostra dedicata a Egon Schiele e al suo tempo.
Forse meno conosciuto al grande pubblico del suo mentore Gustav Klimt o di un rivale espressionista come Oscar Kokoschka, Schiele incarna alla perfezione con la sua breve ed intensa parabola personale ed artistica lo spirito di un’epoca e di una cultura che hanno contribuito a modellare l’intero Novecento.
Si forma nella Vienna Felix degli anni a cavallo tra i due secoli, magnifica capitale di un impero austroungarico all’apogeo del suo splendore e che pure comincia a mostrare le prime incrinature.
Segnali disattesi di un declino ormai prossimo.
La stessa città raccontata con maestria e malinconia nei romanzi di Musil, Zweig, Roth e acremente dileggiata e messa alla berlina da Karl Kraus.
Il giovane Schiele partecipa con passione alla ribellione degli artisti della Secessione contro i dettami dell’accademia in nome di un’arte che vuole al tempo stesso essere espressione profondamente individuale ed assolvere ad una funzione sociale migliorando la qualità della vita umana.
Il motto che li contraddistingue è: “Per ogni tempo la sua arte / per ogni arte la sua libertà”.
Ma il suo percorso rimane sempre orgogliosamente personale. Se nelle prime opere è evidente l’influsso dello stile elegantemente decorativo di Klimt, assolutamente originale è il quasi impudico autobiografismo degli autoritratti.
Una sorta di diario degli stati d’animo che caratterizzerà tutta la sua produzione e che rivela l’altro grande influsso culturale sulla sua opera, quello della psicanalisi freudiana.
E se il suo cognome in tedesco richiama il guardare sottecchi, in tralice, quasi come una sfida Schiele decide di sperimentare la profondità della visione.
Nessuna dimensione della vita sfugge al suo occhio impietoso eppure non privo di compassione: dall’erotismo, dalla sensualità e dalla femminilità, esplorati con una disinibizione che arriverà a costargli il carcere, al misticismo, frutto dell’esperienza della detenzione, alla solitudine dei paesaggi di campagna ed urbani, alla rarefazione delle nature morte.
Sopravviverà alla I guerra mondiale per morire, insieme all’Impero che lo aveva visto nascere, nel 1918, a 28 anni, vittima, insieme alla moglie e al figlio non ancora nato, della micidiale epidemia di spagnola.
Ma con la consapevolezza espressa nelle ultime parole alla madre di aver creato qualcosa di destinato a restare: “La guerra è finita, e io devo andare. I miei quadri saranno esposti in tutti i musei del mondo”.

domenica, dicembre 13, 2009

amore, matchpoint e resa

Questo è un post lungo. E pieno di verità scomode. Non lamentatevi di nessuno dei due aspetti.......
a me viene da dire finalmente!
non mi sono mai lamentata della sincerità nelle relazioni.
solo delle bugie nelle loro varie declinazioni. dalla presunta diplomazia all’opportunismo puro e semplice.
o peggio l’ipocrisia come garanzia del quieto vivere.
(che sappiamo comunque non essere tra i tuoi difetti).
sarò sincera anch’io. e sarà lunga anche la mia risposta.
confido che non ti lamenterai ;)
non so se le tue percentuali mutuate da Pareto aderiscano alla realtà, ma mi sento di aggiungere che il 20/80% di ciascuna di noi non coincidono mai.
immagino anche quelli degli uomini……
questo spiega perché in genere troviamo improponibili, insopportabili, etc etc. (e non solo o semplicemente per invidia) gli uomini delle nostre amiche.
davvero non vi capita mai con le donne dei vostri amici?
ovviamente non quelle che a prima vista giudicate sveglie, intellettuali, riflessive, introspettive, sensibili, un tantino esibizioniste. ed esigenti.
e che probabilmente lo sono davvero. ma ognuna in maniera diversa.
la tua, la vostra constatazione è solo l’inizio dell’esplorazione.
come Colombo credete di essere approdati nelle Indie e invece avete appena scoperto le Americhe.
se persevererete nell’errore, a colonizzare il nuovo territorio saranno altri, ammesso che ce ne siano, disposti ad andare più in là della spiaggia che hanno intravisto o appena calpestato…..
mi fa piacere che ci siano uomini che non negano il loro lato femminile.
ma se lo chiamassimo semplicemente Anima? o è ancora troppo anche per i maschi più evoluti?
(e questo è ovviamente il mio Animus forte ed esigente che parla ;))
queste donne così’ desiderabili sanno davvero che cosa vogliono?
in realtà direi che sono (siamo?) convinte di sapere esattamente ciò che desiderano e di cui hanno bisogno.
ma questo lo credono anche gli uomini ( e sono di solito meno disposti a metterlo in discussione).
l’esperienza mi dice invece che l’innamoramento non è mai così intenso e profondo come quando sconvolge abitudini collaudate, mette in discussione equilibri consolidati, mina alle basi convinzioni granitiche.
poi arriva il fatidico date.
e qui comincia la diversa percezione delle esperienze.
non so se è vero per le altre, ma lo è sicuramente per me.
non ho mai considerato un primo appuntamento un colloquio di selezione sentimentale.
non è per caso che siete voi a viverlo così al di là delle nostre intenzioni o pretese?
che si crei un perverso gioco di specchi tra attese e aspettative reciproche.
una trappola che scatta con un’ efficacia letale in diretto rapporto con le emozioni in gioco?
di fronte alla quale l’unica difesa finisce per essere il ricorso alla maschera sociale, a quello che fai e che mostri di solito agli altri invece che a quello che sei?
(posso permettermi di aggiungere che l’elenco delle qualità della tua donna ideale che potremmo compilare sulla base dei tuoi post di questi anni non è meno proibitivo dell’elenco dei requisiti delle tue prospect?
e no, non li consideriamo stupidi gli uomini appartenenti all’ipotetico 20%. se fosse così come potremmo ritenerli interessanti ;?))
riguardo alla categoria 1, alle fidanzate, sposate da sempre, ti risulta anche che siano tutte così totalmente, assolutamente felici?
o sono escluse perché sei irreprensibilmente virtuoso e il date di cui parli vuole essere esclusivamente il prologo ad una relazione non clandestina ;)?
nella categoria 2, separate/divorziate, sottoinsieme senza figli, forse le cose sono più semplici. se hanno archiviato definitivamente l’idea di averne. non se in sottofondo si sente il ticchettio inesorabile dell’orologio biologico. ho visto fare scelte improponibili, se non aberranti sotto la sua nefasta influenza.
quanto a quelle che i figli li hanno, non appartenendo alla categoria, non posso che limitarmi a quello che sento dire in giro ed ho la netta impressione che siano alla ricerca di rassicurazione profonda più che di promesse di prestazioni mirabolanti in ogni campo.
dopo una separazione o un divorzio, specie se doloroso, difficile, volente o nolente hai imparato a fare i conti con la distanza che corre tra le aspettative (o le illusioni) tue e altrui e la realtà.
poi ci sono le reduci da una storia, anzi dalla Storia, finita male. quelle con un ex che incombe come lo spettro di Banco.
e qui ok. colpita e affondata.
questa (a parte il vezzo di fare il conta numeri su Google che non coltivo) sono, anzi ero io.
ho fatto parte della categoria a lungo (troppo a lungo).
non mi sono risparmiata neppure il sequel.
che come tutti i sequel è risultato decisamente inferiore all’originale.
ma, contrariamente a quello che accade con i film, anche misericordiosamente più breve.
qui ti/vi do ragione. non è una partita, è una scommessa.
perché l’esito in definitiva dipende dal fatto che lei sia pronta a lasciare andare tutto quello a cui si è aggrappata tenacemente e contro ogni logica, a volte per anni.
e che lo sia proprio in quel momento, quel giorno o quella sera.
e se anche lo è e voi le darete il la per uscire fuori dal cerchio, le ci vorrà comunque del tempo per realizzarlo appieno.
e vedervi davvero, non solo guardarvi dicendo a se stessa “forse…”.
tocca a voi decidere se vale il rischio e l’attesa….
superata la fase 2, iperboli ed esagerazioni a parte - basta molto meno di quello che tu elenchi puntigliosamente per essere considerate nel novero - direi che ora potrei rientrare, o meglio immagino di essere considerata, nella categoria 3, sottospecie donna sul piedistallo.
in realtà non posso dire di non essere stata giudiziosamente avvertita fin dall’adolescenza da tutte le donne di famiglia sui rischi di un certo mio modo di essere, in particolare sulle sue conseguenze nefaste sulla mia vita sentimentale.
ma a lungo ho considerato queste perle di saggezza frutto di una mentalità sorpassata.
finché la fatidica parola piedistallo (pericolosamente accostata all’immagine di Minerva) l’ha pronunciata il mio più caro amico, uno che conosco praticamente dalla culla.
e il fatto che si riferisse a me liceale non è riuscito ad attenuare il colpo della rivelazione.
che io l’avessi sempre percepita e vissuta in un altro modo da quel momento in poi non ha contato più.
ma le diagnosi, anche le autodiagnosi, per quanto precise anticipano semplicemente la cura e non ne condizionano più di tanto i tempi. e soprattutto i modi, quasi mai indolori.
ti chiedi perché ad incantarci così spesso siano uomini che in fondo sfruttano la nostra forza e finiscono per farci tradire quelli che apparentemente sono i nostri principi più saldi?
perché questi uomini istintivamente percepiscono quello che non ammetteremmo mai spontaneamente.
quanto siamo stanche in realtà di essere forti, competenti, determinate.
sempre e comunque.
per noi stesse e spesso anche per gli altri.
ci permettono, anche a dispetto e discapito di noi stesse, di essere dipendenti.
di affidarci finalmente, seppure in modo perverso, a qualcuno.
non è quello che desideriamo nel profondo quando ci lasciamo andare a sognare, ma all’inizio è la cosa più vicina che pensiamo di poterci permettere.
finché non ci rendiamo conto della trappola in cui siamo cadute.
mendicare come una concessione altrui qualcosa di cui dovremmo rivendicare il diritto in prima persona.
o finché un uomo diverso, non monosillabico, non emotivamente reticente, non avrà la voglia e il coraggio di andare più in là della facciata della dichiarata sicurezza e autonomia almeno quanto noi ne abbiamo di rinunciare alla competizione e al controllo.
nonostante tutta questa forza, reale e/o presunta. abbiamo paura di comunicare? ci aggrappiamo ai segnali per non sentire le parole?
davvero credi che la comunicazione si esaurisca nelle parole?
parliamo continuamente con il corpo, con i gesti, con il tono della voce.
spesso esprimiamo a livello non verbale qualcosa di cui noi stessi non siamo ancora neppure consapevoli.
si può discutere sull’enfasi che noi donne diamo a tutto questo.
non tanto direi rispetto alle parole – non ne abbiamo paura, semplicemente abbiamo imparato a diffidarne. per questo cerchiamo conferme altrove - quanto ai fatti concreti.
ma è davvero più discutibile della vostra indifferenza o sottovalutazione di questi presunti dettagli?
e poi c’è lo sguardo. quello sguardo che ti fa il giro dentro.
che dice “se voglio posso farlo, ma lo vuoi davvero?”
e mi fa venire in mente le intimidazioni di un Charles Barkley o di un Dennis Rodman nei confronti degli avversari.
un modo per svelare le debolezze dell’avversario e non lasciare spazio alle proprie.
perché vedi qui siamo ancora alla sfida, alla prova di forza.
“la miglior difesa è l’attacco” sostiene qualcuno.
mi verrebbe spontaneo chiedere “se non di loro e di comunicare, di che cosa hai paura tu?”.
che ricambino lo sguardo e ti scrutino allo stesso modo ? di rimanere intrappolato nella loro anima?
perché solo gli incoscienti, non i coraggiosi, non hanno paura di nulla.
ma un date, e poi in prospettiva una storia, in definitiva non è una partita Pistons vs. Bulls e neanche un match di tennis.
non dovrebbe esserlo almeno. se non, e con un minimo di ironia, nella fase preliminare.
il gioco vero comincia fuori dal campo.
quando non importa più chi vince o chi perde.
certo non con lui (o lei) se ti prende davvero dentro.
quando cedere o rinunciare a qualcosa non è più un punto d’onore, una questione di vita o di morte.
anche se ho la netta impressione che molte di noi si crogiolino nella stessa vostra presunzione (nel senso etimologico del termine): “gli uomini non sanno che noi donne sappiamo. e che sappiamo che loro non sanno".
rischiando che la somma algebrica di ciò che sappiamo e non sappiamo ci riporti entrambi inesorabilmente a zero.
forse dovremmo semplicemente avere il coraggio di ammettere che sulla base delle esperienze passate nostre e altrui, ci sforziamo di tracciare mappe e fare previsioni per ottimizzare il risultato finale e minimizzare le perdite.
ma l’amore non è un’operazione di marketing.
men che meno “l’amore che strappa i capelli”.
quello che ti sorprende all’improvviso e ti mozza il respiro. e poi mette radici nella tua vita, butta foglie e frutti.
è un cigno nero invece.
un evento imprevedibile e non riducibile a nessuno schema conosciuto.
di fronte a cui, sostiene qualcuno che proprio tu ci hai fatto conoscere, l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che:
“non sappiamo quello che non sappiamo”.
non si tratta neanche di fare i conti con lo scarto prevedibile tra la mappa e il viaggio, ma di tracciare i percorsi e i confini mentre esploriamo un territorio ancora sconosciuto, l’altro e noi….
a patto che il coraggio e la perseveranza abbiano la meglio sulla prudenza o sul puro spirito di conservazione.
perché se dovessimo arrenderci a questi ultimi non avremmo più alibi, non potremmo più accusare la vita infame o il destino cinico e baro e finiremmo per nutrirci solo di rimpianti…….

martedì, novembre 24, 2009

tristi a Natale...

lo ammetto, sono un po’ strana.
non so se in fondo sono rimasta una contadina, se subisco ancora il fascino del ricordo del ritorno a scuola dopo le vacanze estive o se sono davvero lunatica e umorale, come sostiene qualcuno, ma per me l’anno nuovo comincia con la luna d’autunno, Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
quindi niente bilanci di vita a Capodanno (che in genere mi annoia a morte).
è vero però che Natale con il suo carico simbolico di speranza, di luce nel cuore dell’inverno, fa inevitabilmente da cartina di tornasole agli stati d’animo, specie di quelli più cupi.
per questo, anche nei tempi più bui, non ho mai rinunciato a festeggiarlo, per quanto potesse essere duro o faticoso e pesanti le circostanze.
perché farlo avrebbe significato rinunciare non al presente, ma al futuro.
fino a due anni fa, quando, in uno stato d’animo non molto diverso da quello icasticamente descritto qui, mi sono arresa.
ho detto basta.
semplicemente se non era Natale dentro era inutile che fingessi lo fosse fuori.
da lì, da quel Natale di cenere, ho ricominciato.
l’anno scorso di questi tempi avevo già fatto un bel po’ di strada dal presunto punto di non ritorno, ma era come se stessi ancora ferma sulla soglia.
incerta se e come compiere il primo passo fuori dall’uscio.
poi, totalmente inaspettato, è arrivato qualcuno che semplicemente mi ha teso la mano.
l’ho afferrata e sono uscita.
da quel momento non mi sono più fermata.
ho archiviato il passato, lasciato dietro di me tutto quello che con immensa fatica continuavo inutilmente a trascinare, per riprendere a camminare leggera e percorrere nuove strade.
l’anno che se ne sta andando ha portato via con sé una persona che mi era troppo cara per catalogarlo come un anno felice, ma certo mi sento serena, forte, persino spensierata, come forse mai prima nella mia vita.
la verità è che i Clarence - gli angeli custodi di II classe - si incontrano non solo nei film di Capra, ma nella vita di tutti i giorni, anche sotto le sembianze più improbabili.
può esserlo ciascuno di noi, persino involontariamente o al di là delle proprie intenzioni.
e se lo siamo stati almeno una volta per qualcuno - sono convinta - prima o poi, quando ne avremo bisogno, la vita ci restituirà il favore…..

domenica, novembre 15, 2009

di capelli femminili e altri demoni...

(........) a domanda risponde:
“confesso Vostro Onore di essere colpevole dei reati ascritti a registro e da lei puntigliosamente elencati e mi appello alla clemenza della Corte.
anche volendo dimenticare gli anni dell’infanzia in cui le responsabilità tricologiche erano condivise con la mia mamma - a cui devo comunque riconoscere di aver sempre detestato, come me, gli orpelli e quindi non avermi imposto nastri, fiocchi e quant’altro – negli anni della giovinezza non mi sono risparmiata nulla di tutto quello che presumibilmente la fa inorridire.
dalla permanente effetto frisè ( o “pecora della Nuova Zelanda” per le lingue biforcute come mio fratello), in tempi in cui la procedura esalava vapori tossici degni del petrolchimico di Marghera, ai colpi di sole, abbandonati quando mi sono resa conto con raccapriccio che stavo diventando una “finta bionda”, alla temporanea resa al mio sogno segreto di essere una rossa irlandese, che ahimè non poteva che fare vistosamente a pugni con il mio incarnato da bruna mediterranea.
ho frequentato parrucchieri di ambo i sessi e di varie inclinazioni sessuali, ma non posso dire che siano i soli colpevoli delle mie vicissitudini in questo campo.
sono certo inclini agli esperimenti, anche arrischiati, specie sul colore, ma nulla che la determinazione della cliente non possa arginare.
e spesso prodighi di ottimi consigli quando si tratta di dissuadere chi si ostina a pretendere tagli che donano solo alle modelle dei book.
ho portato i capelli lunghi ben oltre le spalle per poi tagliarli cortissimi a segnare un passaggio di vita fondamentale.
e spero mi crederà se le assicuro che il mio ultimo pensiero in quei frangenti potesse essere lo sguardo critico di un eventuale corteggiatore.
li ho lasciati crescere liberamente durante un lutto sentimentale per sacrificarli di nuovo a segnare il distacco definitivo.
con il tempo sono riapprodata al mio castano naturale con qualche riflesso che lo è meno e ad una nuova versione del taglio che mi ha sempre donato di più. media lunghezza, scalato, riga a tre quarti.
per capirci quello reso in celebre in”Friends” dalla santa patrona laica di tutte le cornute, Jennifer Aniston.
oggi come oggi neanche se in palio ci fosse un invito a cena con Hugh Laurie mi farei la riga in mezzo o la frangetta.
mi sento anche di distruggere quella che ritengo sia una sua illusione.
non credo che il rapporto viscerale che noi donne coltiviamo i capelli, ma anche più in generale con il nostro aspetto fisico, dipenda esclusivamente dallo sguardo maschile, anzi.
o che gli uomini in generale osservino questo particolare con tanta cura e che da esso dipendano le nostre sorti sentimentali.
è vero, ci amano di più con i capelli lunghi, ma al primo impatto nessun taglio per quanto infelice ha mai compromesso l’effetto panoramico di una quinta naturale o di una vertiginosa minigonna su gambe da gazzella.
le assicuro poi che per quanto amiamo, coccoliamo, maltrattiamo, i nostri capelli, ci sono giorni, o settimane come questa a Milano, in cui il grigiore e l’umidità non deprimono solo l’umore, ma anche il volume delle chiome, in cui ci piacerebbe essere uomini e poter dare mano alla macchinetta per un taglio da marine.

giovedì, settembre 24, 2009

citazioni di settembre

“il numero di donne della mia generazione delle quali a posteriori, si può dire siano state “il grande amore” di qualcuno, in qualsiasi ambito, è davvero minimo…. l’amore è arduo, aspirare a qualcuno è arduo….naturalmente sarebbe più facile giocare dalla parte dei maschi. loro non vanno mai a caccia dell’amore in quanto tale, mai. vanno a caccia di donne….a spingermi era la sensazione di meritare l’amore assoluto di qualcuno, addirittura il grande amore….non so se ottenere amore da un uomo sia una dimostrazione di forza più oggi di quanto non fosse un tempo, ma in realtà lo so: ci vuole più forza oggi. è una sofferenza indicibile….gli uomini sono come oggetti corazzati, imponenti assemblaggi di pelle e corazza, quasi opere murarie, che si dice si possano autodemolire toccando il punto giusto, da cui si riverserà un fiume di attenzioni appassionate. e sappiamo che a volte questo accade a una delle nostre sorelle o è accaduto.”

lunedì, settembre 07, 2009

ricordi di letture estive: Geoff Dyer o l'arte di descrivere

“La cantante levava le mani in aria come se i suoi suoni crescessero lì e, a condizione di raccoglierli all’infinito, senza interruzione, non sarebbero mai venuti a mancare.
I musicologi fanno un gran parlare del tono perfetto, ma a me quella voce faceva pensare a una postura perfetta: i capelli lunghi e dritti come una schiena flessuosa; i piedi scalzi dalle movenze così leggere che quasi non toccavano terra.
La voce era garanzia di assoluta devozione; ma poi la nota si protaeva ancora, andava oltre, e tu ti domandavi cosa avresti dovuto fare per meritarti tanta devozione, tanto amore. Avresti dovuto essere quella nota, non l’oggetto di devozione, bensì il devoto.
La voce scivolava e scendeva in picchiata. Sembrava uno di quei momenti perfetti nella vita, quando la cosa che più ti auguri si realizza e, realizzandosi, si tramuta - si tramuta, nella fattispecie, in suono: quando, in un luogo pubblico, scorgi le persone che più desideri vedere e la cosa non ti sorprende affatto: lo schema nella casualità, quando il caso scivola nel destino.
Una nota si protrasse ai limiti del possibile, e poi un po’ di più: continuò, da qualche parte, molto dopo che fosse capace di farsi udire. E’ ancora lì, anche adesso.”
Geoff Dyer, Amore a Venezia Morte a Varanasi, Einaudi

mercoledì, settembre 02, 2009

nomen omen

il mio nome è lungo e si presta ad equivoci già nella versione completa.
c'è quella tradizionale, austera, che ricorda l'originale ebraico - dal significato beneaugurante, ma terribilmente impegnativo - e quella "ridotta", voluta e difesa a spada tratta da mia madre che, con la sola eliminazione di una vocale iniziale, richiama ahimè un tormentone anni '70 reso celebre da un crooner, o presunto tale, spagnolo che mi ha perseguitato per buona parte dell'adolescenza e della giovinezza.
in genere però, appena passate le fasi iniziali della conoscenza, quasi tutti inavvertitamente scivolano nel diminutivo.
con una sola significativa eccezione. gli uomini che hanno contato sentimentalmente nella mia vita si sono sempre categoricamente rifiutati di usare il diminutivo. uno in particolare.
per cui nella memoria il mio nome non risuona con il singulto iberico di Julio Iglesias, improbabile precursore di Amy Winehouse e Giuliano Sangiorgi, ma con un'inflessione che ricorda pericolosamente quella di Macario......

lunedì, luglio 20, 2009

postilla a Filippo 2

(...) qualcuno, con le credenziali professionali in regola per affermarlo, tempo fa, di fronte alla mia sorpresa per una reazione totalmente inaspettata di una persona che mi è cara, ha detto:
“non dovrebbe stupirsi. la felicità è altrettanto stressante e spesso fa più paura del dolore” .
come non pensare che questo valga per l’amore, soprattutto agli inizi quando è ancora solo una speranza, una promessa?
non credo che si rinunci per fessaggine pura e semplice.
mancanza di coraggio piuttosto, a volte più ignavia che vigliaccheria.
si può riconoscere l’amore con la A maiuscola, l’amore Vero, quello giusto e se sì come?
quello che ho vissuto e visto finora mi porta a credere che siano giusti anche gli amori sbagliati. quelli senza lieto fine, che ti riducono il cuore in frammenti così piccoli da sembrare ripassati con il pestello.
che fanno di te una persona che fino a poco tempo prima non riuscivi neanche ad immaginare e stenti ancora a riconoscere allo specchio, ma infinitamente più vicina al nucleo, all’essenza di quello che sei di quanto tu sia mai stato prima.
credo si “senta” se un amore ti segnerà la vita e che questa percezione abbia poco o nulla a che fare con il pensiero, la razionalità.
non è detto che succeda immediatamente, a volte questa consapevolezza fatica così tanto a farsi strada tra gli infiniti pregiudizi e preconcetti a cui ci aggrappiamo da arrivare troppo tardi.
quando quello che gli antichi greci chiamavano kairos, il momento giusto, è svanito per sempre.
e, come si chiedeva qualcuno pochi giorni fa, abbiamo veramente scelta, siamo liberi o legati inesorabilmente ad un destino più o meno segnato anche in questo?
gli psicanalisti amano dire che se l’amore è cieco, l’inconscio ci vede benissimo.
in genere succede quello che capita al soldato che per sfuggire alla morte preannunciatagli corre a nascondersi a Samarcanda per ritrovarsela puntualmente di fronte al momento stabilito.
no, non possiamo scegliere o influire più di tanto su ciò che ci accade, anche se sicuramente c’è una misteriosa corrispondenza tra ciò che avviene dentro e fuori di noi.
ma è qualcosa di cui ovviamente ci accorgiamo solo a posteriori.
la nostra libertà si gioca essenzialmente su come viverlo.
in fondo siamo come marinai, all’inizio totalmente inesperti, alle prese con l’immensità dell’oceano. possiamo imparare a navigarlo, mai avere la presunzione di averlo conosciuto davvero fino in fondo o peggio definitivamente domato.
se riusciamo a sopravvivere all’esuberanza e all’incoscienza della giovinezza quello che possiamo sperare è di riuscire ad approdare su una spiaggia con qualcuno disposto a condividere con noi il viaggio e la terraferma.
l’unico vero errore sarebbe rimanere in eterno sulla riva ad aspettare…..

postilla a Filippo 1

il post mi è piaciuto istintivamente, di primo acchito.
l’ho sbirciato per strada tra un semaforo e l’altro. ho persino perso un verde per finirlo (tranquilli ero a piedi ;)).
ma mi ha lasciato anche, da subito, perplessa.
emotivo, coinvolgente certo…. ma quel click del telefono?
chi ha messo giù?
all’inizio ho pensato lei, chiaro.
ora non sono più così sicura.
perché è come se avessi due punti di vista - un sano esercizio di distacco dai sentimenti propri e altrui?
lui, ansioso e impulsivo, convinto evidentemente che nessuna difesa sia meglio dell’attacco, specie se il rischio è che il nemico ti prenda alle spalle.
e lei - principessa, ma non necessariamente inerme o stronza - che cerca timidamente e inutilmente di interrompere il suo soliloquio travolgente.
mi chiedo se non è così che perdiamo le occasioni più vere.
talmente sommersi dalle emozioni, dalle fantasie, dai desideri, dalle paure - quelli del passato ancor prima di quelli del presente - da non fare la cosa più semplice.
tacere e ascoltare.
l’altro e noi.

lunedì, maggio 11, 2009

ora

guardami. guardaci
a questo bivio a cui sapevamo che saremmo arrivati.
e che abbiamo preferito ignorare. finora.
afferra l’attimo. specie se ti regala inaspettatamente quello che credevi definitivamente perso.
la spensieratezza, la tenerezza, l’allegria.
non si può essere tristi per sempre.
arriva all’improvviso. come il vento che spalanca le finestre di stanze soffocanti, polverose.
chiuse da estati passate e mai dimenticate.
e spazza via la nebbia densa e appiccicosa in cui era scivolata la tua vita.
riporta luce e aria, ma non nasconde nulla. neanche le ferite più profonde.
solo, ridona loro contorni netti e ombre definite.
mi specchio nei tuoi occhi come in un lago ghiacciato e mi vedo.
nuda, fragile e scoperta e vestita dell’abito più bello che riesca ad immaginare.
e vedo noi, opposti e speculari, con quella faglia quasi impercettibile di insicurezza e dolore che attraversa le nostre vite.
vorrei sapere tu che cosa vedi .
ma non parlare ora. voglio ricordare la tua voce come l’ho sentita la prima volta.
poi sarò pronta. anche a dirti addio.

(pubblicato anche su GraziaBlog: http://grazia.blog.it/2009/06/04/guardami-guardaci/)

martedì, aprile 28, 2009

stanno suonando la nostra canzone

pare che l’ultima moda sia contemplare la casa di lui o i luoghi che corrispondono a pietre miliari della vostra storia con Google Street.
ma noi apparteniamo a generazioni nate in epoche predigitali – ci ricordiamo perfino della tv in bianco e nero – e quindi gli strumenti con cui farsi male volontariamente dopo la fine di una storia sono ancora primitivi.
funzionavano su vinile come oggi nell’ipod o su youtube.
canzoni, più spesso proprio quella canzone.
era la colonna sonora del primo film che avete visto insieme.
il brano trasmesso alla radio mentre vi riaccompagnava a casa e dopo essere stati tutti e due brillanti, spiritosi, quasi euforici, ascoltavate in silenzio perché qualcosa vi bloccava le parole in gola.
può essere perfino, più prosaicamente, il tormentone estivo assolutamente demenziale battuto a tappeto sulla spiaggia dove vi siete incrociati per la prima volta.
la qualità del pezzo non è di per sé un fattore qualificante se non perché ci riesce più facile giustificare esteticamente la fissazione per “Don’t give up” che per “Vamos alla playa”.
quello che conta è che da quel preciso momento per voi la prima, se non l’unica associazione possibile, per quella canzone sarà quella con lui.
nessun problema ovvio finché la storia non finisce.
che cosa succede però alla “nostra canzone” quando non siamo più noi, ma io e te e il distacco non è stato proprio indolore?
potete cancellare ogni traccia del suo passaggio dalla vostra casa e dalla vita di tutti i giorni. selezionare con cura luoghi e persone.
persino smettere di sentire o di credere di sentire sul cuscino il suo odore, l’aroma inconfondibile della pelle mescolata al profumo e alle sigarette preferite, ma prima o poi, implacabilmente, quella sequenza di note vi colpirà a tradimento e vi riporterà proprio al momento e al luogo da cui volevate fuggire.
o a cui volevate tornare. perché sarete voi nei momenti più duri a riascoltarla per cercare di far rivivere il passato.
in questo momento critico il fatto che la canzone non fosse eccessivamente romantica – ma si tratta di rare eccezioni – aiuta.
esiste un numero limite di volte oltre il quale non è possibile ascoltare in lacrime i Righeira, mentre con Peter Gabriel può essere più complicato.
ma laddove non si viene soccorse dal senso del ridicolo, interviene il grande dottore, il tempo.
e il grande giudice.perché quando finalmente riuscirete ad ascoltare quella canzone oggi e non come fosse ieri, quello che vi lascerà dentro, che sia indifferenza, malinconia, struggimento, rimpianto sarà la misura della storia che avete vissuto.