lunedì, ottobre 12, 2009

mating

non ha un nome la protagonista di “Accoppiamenti” di Norman Rush, giovane antropologa americana, arenata professionalmente e sentimentalmente tra gli espatriati del Botswana, dove si è trasferita per completare la sua tesi di dottorato, fino all’incontro con Nelson Denoon, affascinante guru intellettuale e sperimentatore sul campo di utopie sociali.
Tsau, la città del riscatto delle donne da lui creata, diventa prima la meta di un viaggio attraverso il deserto del Kalahari e il passato e poi il luogo in cui, rivelandosi nei propri ricordi, i due protagonisti vedono messe alla prova e dissolte dall’interno le loro convinzioni più radicate.
è il corto circuito, forse obbligato, di tutte le storie d’amore in cui la tensione di un’irresistibile attrazione fisica si mescola all’incantamento dell’intelligenza e della creatività sul terreno fertile di una condivisa privazione emotiva.
una storia d’amore che non imprevedibilmente finirà per scuotere dalle fondamenta anche l’enclave ideale che l’ha resa possibile.
la maestria dell’autore si rivela - ancor più che nella complessità dei richiami, spesso caustici e profetici, alla politica, all’antropologia, alla filosofia che continuamente si intrecciano alla trama - nell’assoluta naturalezza con cui ci mostra la progressiva rivelazione della sua protagonista a se stessa.
come se la scrittura la precedesse e poi l’accompagnasse passo passo mentre inconsapevolmente richiude la faglia che l’aveva separata dalle proprie radici emotive.
e certo solo il titolo originale “Mating”, con la fluidità della forma verbale – rispetto a quella definita, chiusa del sostantivo italiano “Accoppiamenti” - rende completamente giustizia al ritmo interno e alla complessità di ogni rapporto uomo-donna di cui questa storia d’amore è al tempo stesso un affascinante modello e una celebrazione.

giovedì, settembre 24, 2009

citazioni di settembre

“il numero di donne della mia generazione delle quali a posteriori, si può dire siano state “il grande amore” di qualcuno, in qualsiasi ambito, è davvero minimo…. l’amore è arduo, aspirare a qualcuno è arduo….naturalmente sarebbe più facile giocare dalla parte dei maschi. loro non vanno mai a caccia dell’amore in quanto tale, mai. vanno a caccia di donne….a spingermi era la sensazione di meritare l’amore assoluto di qualcuno, addirittura il grande amore….non so se ottenere amore da un uomo sia una dimostrazione di forza più oggi di quanto non fosse un tempo, ma in realtà lo so: ci vuole più forza oggi. è una sofferenza indicibile….gli uomini sono come oggetti corazzati, imponenti assemblaggi di pelle e corazza, quasi opere murarie, che si dice si possano autodemolire toccando il punto giusto, da cui si riverserà un fiume di attenzioni appassionate. e sappiamo che a volte questo accade a una delle nostre sorelle o è accaduto.”

lunedì, settembre 07, 2009

ricordi di letture estive: Geoff Dyer o l'arte di descrivere

“La cantante levava le mani in aria come se i suoi suoni crescessero lì e, a condizione di raccoglierli all’infinito, senza interruzione, non sarebbero mai venuti a mancare.
I musicologi fanno un gran parlare del tono perfetto, ma a me quella voce faceva pensare a una postura perfetta: i capelli lunghi e dritti come una schiena flessuosa; i piedi scalzi dalle movenze così leggere che quasi non toccavano terra.
La voce era garanzia di assoluta devozione; ma poi la nota si protaeva ancora, andava oltre, e tu ti domandavi cosa avresti dovuto fare per meritarti tanta devozione, tanto amore. Avresti dovuto essere quella nota, non l’oggetto di devozione, bensì il devoto.
La voce scivolava e scendeva in picchiata. Sembrava uno di quei momenti perfetti nella vita, quando la cosa che più ti auguri si realizza e, realizzandosi, si tramuta - si tramuta, nella fattispecie, in suono: quando, in un luogo pubblico, scorgi le persone che più desideri vedere e la cosa non ti sorprende affatto: lo schema nella casualità, quando il caso scivola nel destino.
Una nota si protrasse ai limiti del possibile, e poi un po’ di più: continuò, da qualche parte, molto dopo che fosse capace di farsi udire. E’ ancora lì, anche adesso.”
Geoff Dyer, Amore a Venezia Morte a Varanasi, Einaudi

amo settembre.....

....e l'autunno che arriva.
lo amavo da bambina quando portava con sè l'aria fresca, frizzante che spezzava la calura opprimente della piena estate, i meravigliosi colori delle foglie nell'estate indiana sulle montagne attorno al mio paese natale e il profumo delle pagine dei libri nuovi di scuola ancora da sfogliare.
mi piaceva l'idea di ritornare alla vita quotidiana - sì, anche a studiare - e insieme la promessa e i desideri di un nuovo inizio.
sono passati parecchi anni, ma in questo non sono cambiata.
l'anno nuovo per me comincia ora, non a gennaio nel cuore dell'inverno.
e non solo perché non sopporto i rituali frusti e l'euforia obbligata di San Silvestro.
è come se il mio corpo e la mia psiche seguissero altri ritmi, legati alla luna e alla terra.
da qualche parte dentro di me c'è un'anima contadina che in questo momento si prepara alla fatica e alla speranza della semina e a una lunga pazienza.

mercoledì, settembre 02, 2009

nomen omen

il mio nome è lungo e si presta ad equivoci già nella versione completa.
c'è quella tradizionale, austera, che ricorda l'originale ebraico - dal significato beneaugurante, ma terribilmente impegnativo - e quella "ridotta", voluta e difesa a spada tratta da mia madre che, con la sola eliminazione di una vocale iniziale, richiama ahimè un tormentone anni '70 reso celebre da un crooner, o presunto tale, spagnolo che mi ha perseguitato per buona parte dell'adolescenza e della giovinezza.
in genere però, appena passate le fasi iniziali della conoscenza, quasi tutti inavvertitamente scivolano nel diminutivo.
con una sola significativa eccezione. gli uomini che hanno contato sentimentalmente nella mia vita si sono sempre categoricamente rifiutati di usare il diminutivo. uno in particolare.
per cui nella memoria il mio nome non risuona con il singulto iberico di Julio Iglesias, improbabile precursore di Amy Winehouse e Giuliano Sangiorgi, ma con un'inflessione che ricorda pericolosamente quella di Macario......

lunedì, luglio 20, 2009

postilla a Filippo 2

(...) qualcuno, con le credenziali professionali in regola per affermarlo, tempo fa, di fronte alla mia sorpresa per una reazione totalmente inaspettata di una persona che mi è cara, ha detto:
“non dovrebbe stupirsi. la felicità è altrettanto stressante e spesso fa più paura del dolore” .
come non pensare che questo valga per l’amore, soprattutto agli inizi quando è ancora solo una speranza, una promessa?
non credo che si rinunci per fessaggine pura e semplice.
mancanza di coraggio piuttosto, a volte più ignavia che vigliaccheria.
si può riconoscere l’amore con la A maiuscola, l’amore Vero, quello giusto e se sì come?
quello che ho vissuto e visto finora mi porta a credere che siano giusti anche gli amori sbagliati. quelli senza lieto fine, che ti riducono il cuore in frammenti così piccoli da sembrare ripassati con il pestello.
che fanno di te una persona che fino a poco tempo prima non riuscivi neanche ad immaginare e stenti ancora a riconoscere allo specchio, ma infinitamente più vicina al nucleo, all’essenza di quello che sei di quanto tu sia mai stato prima.
credo si “senta” se un amore ti segnerà la vita e che questa percezione abbia poco o nulla a che fare con il pensiero, la razionalità.
non è detto che succeda immediatamente, a volte questa consapevolezza fatica così tanto a farsi strada tra gli infiniti pregiudizi e preconcetti a cui ci aggrappiamo da arrivare troppo tardi.
quando quello che gli antichi greci chiamavano kairos, il momento giusto, è svanito per sempre.
e, come si chiedeva qualcuno pochi giorni fa, abbiamo veramente scelta, siamo liberi o legati inesorabilmente ad un destino più o meno segnato anche in questo?
gli psicanalisti amano dire che se l’amore è cieco, l’inconscio ci vede benissimo.
in genere succede quello che capita al soldato che per sfuggire alla morte preannunciatagli corre a nascondersi a Samarcanda per ritrovarsela puntualmente di fronte al momento stabilito.
no, non possiamo scegliere o influire più di tanto su ciò che ci accade, anche se sicuramente c’è una misteriosa corrispondenza tra ciò che avviene dentro e fuori di noi.
ma è qualcosa di cui ovviamente ci accorgiamo solo a posteriori.
la nostra libertà si gioca essenzialmente su come viverlo.
in fondo siamo come marinai, all’inizio totalmente inesperti, alle prese con l’immensità dell’oceano. possiamo imparare a navigarlo, mai avere la presunzione di averlo conosciuto davvero fino in fondo o peggio definitivamente domato.
se riusciamo a sopravvivere all’esuberanza e all’incoscienza della giovinezza quello che possiamo sperare è di riuscire ad approdare su una spiaggia con qualcuno disposto a condividere con noi il viaggio e la terraferma.
l’unico vero errore sarebbe rimanere in eterno sulla riva ad aspettare…..

postilla a Filippo 1

il post mi è piaciuto istintivamente, di primo acchito.
l’ho sbirciato per strada tra un semaforo e l’altro. ho persino perso un verde per finirlo (tranquilli ero a piedi ;)).
ma mi ha lasciato anche, da subito, perplessa.
emotivo, coinvolgente certo…. ma quel click del telefono?
chi ha messo giù?
all’inizio ho pensato lei, chiaro.
ora non sono più così sicura.
perché è come se avessi due punti di vista - un sano esercizio di distacco dai sentimenti propri e altrui?
lui, ansioso e impulsivo, convinto evidentemente che nessuna difesa sia meglio dell’attacco, specie se il rischio è che il nemico ti prenda alle spalle.
e lei - principessa, ma non necessariamente inerme o stronza - che cerca timidamente e inutilmente di interrompere il suo soliloquio travolgente.
mi chiedo se non è così che perdiamo le occasioni più vere.
talmente sommersi dalle emozioni, dalle fantasie, dai desideri, dalle paure - quelli del passato ancor prima di quelli del presente - da non fare la cosa più semplice.
tacere e ascoltare.
l’altro e noi.