lunedì, settembre 07, 2009

ricordi di letture estive: Geoff Dyer o l'arte di descrivere

“La cantante levava le mani in aria come se i suoi suoni crescessero lì e, a condizione di raccoglierli all’infinito, senza interruzione, non sarebbero mai venuti a mancare.
I musicologi fanno un gran parlare del tono perfetto, ma a me quella voce faceva pensare a una postura perfetta: i capelli lunghi e dritti come una schiena flessuosa; i piedi scalzi dalle movenze così leggere che quasi non toccavano terra.
La voce era garanzia di assoluta devozione; ma poi la nota si protaeva ancora, andava oltre, e tu ti domandavi cosa avresti dovuto fare per meritarti tanta devozione, tanto amore. Avresti dovuto essere quella nota, non l’oggetto di devozione, bensì il devoto.
La voce scivolava e scendeva in picchiata. Sembrava uno di quei momenti perfetti nella vita, quando la cosa che più ti auguri si realizza e, realizzandosi, si tramuta - si tramuta, nella fattispecie, in suono: quando, in un luogo pubblico, scorgi le persone che più desideri vedere e la cosa non ti sorprende affatto: lo schema nella casualità, quando il caso scivola nel destino.
Una nota si protrasse ai limiti del possibile, e poi un po’ di più: continuò, da qualche parte, molto dopo che fosse capace di farsi udire. E’ ancora lì, anche adesso.”
Geoff Dyer, Amore a Venezia Morte a Varanasi, Einaudi

amo settembre.....

....e l'autunno che arriva.
lo amavo da bambina quando portava con sè l'aria fresca, frizzante che spezzava la calura opprimente della piena estate, i meravigliosi colori delle foglie nell'estate indiana sulle montagne attorno al mio paese natale e il profumo delle pagine dei libri nuovi di scuola ancora da sfogliare.
mi piaceva l'idea di ritornare alla vita quotidiana - sì, anche a studiare - e insieme la promessa e i desideri di un nuovo inizio.
sono passati parecchi anni, ma in questo non sono cambiata.
l'anno nuovo per me comincia ora, non a gennaio nel cuore dell'inverno.
e non solo perché non sopporto i rituali frusti e l'euforia obbligata di San Silvestro.
è come se il mio corpo e la mia psiche seguissero altri ritmi, legati alla luna e alla terra.
da qualche parte dentro di me c'è un'anima contadina che in questo momento si prepara alla fatica e alla speranza della semina e a una lunga pazienza.

mercoledì, settembre 02, 2009

nomen omen

il mio nome è lungo e si presta ad equivoci già nella versione completa.
c'è quella tradizionale, austera, che ricorda l'originale ebraico - dal significato beneaugurante, ma terribilmente impegnativo - e quella "ridotta", voluta e difesa a spada tratta da mia madre che, con la sola eliminazione di una vocale iniziale, richiama ahimè un tormentone anni '70 reso celebre da un crooner, o presunto tale, spagnolo che mi ha perseguitato per buona parte dell'adolescenza e della giovinezza.
in genere però, appena passate le fasi iniziali della conoscenza, quasi tutti inavvertitamente scivolano nel diminutivo.
con una sola significativa eccezione. gli uomini che hanno contato sentimentalmente nella mia vita si sono sempre categoricamente rifiutati di usare il diminutivo. uno in particolare.
per cui nella memoria il mio nome non risuona con il singulto iberico di Julio Iglesias, improbabile precursore di Amy Winehouse e Giuliano Sangiorgi, ma con un'inflessione che ricorda pericolosamente quella di Macario......

lunedì, luglio 20, 2009

postilla a Filippo 2

(...) qualcuno, con le credenziali professionali in regola per affermarlo, tempo fa, di fronte alla mia sorpresa per una reazione totalmente inaspettata di una persona che mi è cara, ha detto:
“non dovrebbe stupirsi. la felicità è altrettanto stressante e spesso fa più paura del dolore” .
come non pensare che questo valga per l’amore, soprattutto agli inizi quando è ancora solo una speranza, una promessa?
non credo che si rinunci per fessaggine pura e semplice.
mancanza di coraggio piuttosto, a volte più ignavia che vigliaccheria.
si può riconoscere l’amore con la A maiuscola, l’amore Vero, quello giusto e se sì come?
quello che ho vissuto e visto finora mi porta a credere che siano giusti anche gli amori sbagliati. quelli senza lieto fine, che ti riducono il cuore in frammenti così piccoli da sembrare ripassati con il pestello.
che fanno di te una persona che fino a poco tempo prima non riuscivi neanche ad immaginare e stenti ancora a riconoscere allo specchio, ma infinitamente più vicina al nucleo, all’essenza di quello che sei di quanto tu sia mai stato prima.
credo si “senta” se un amore ti segnerà la vita e che questa percezione abbia poco o nulla a che fare con il pensiero, la razionalità.
non è detto che succeda immediatamente, a volte questa consapevolezza fatica così tanto a farsi strada tra gli infiniti pregiudizi e preconcetti a cui ci aggrappiamo da arrivare troppo tardi.
quando quello che gli antichi greci chiamavano kairos, il momento giusto, è svanito per sempre.
e, come si chiedeva qualcuno pochi giorni fa, abbiamo veramente scelta, siamo liberi o legati inesorabilmente ad un destino più o meno segnato anche in questo?
gli psicanalisti amano dire che se l’amore è cieco, l’inconscio ci vede benissimo.
in genere succede quello che capita al soldato che per sfuggire alla morte preannunciatagli corre a nascondersi a Samarcanda per ritrovarsela puntualmente di fronte al momento stabilito.
no, non possiamo scegliere o influire più di tanto su ciò che ci accade, anche se sicuramente c’è una misteriosa corrispondenza tra ciò che avviene dentro e fuori di noi.
ma è qualcosa di cui ovviamente ci accorgiamo solo a posteriori.
la nostra libertà si gioca essenzialmente su come viverlo.
in fondo siamo come marinai, all’inizio totalmente inesperti, alle prese con l’immensità dell’oceano. possiamo imparare a navigarlo, mai avere la presunzione di averlo conosciuto davvero fino in fondo o peggio definitivamente domato.
se riusciamo a sopravvivere all’esuberanza e all’incoscienza della giovinezza quello che possiamo sperare è di riuscire ad approdare su una spiaggia con qualcuno disposto a condividere con noi il viaggio e la terraferma.
l’unico vero errore sarebbe rimanere in eterno sulla riva ad aspettare…..

postilla a Filippo 1

il post mi è piaciuto istintivamente, di primo acchito.
l’ho sbirciato per strada tra un semaforo e l’altro. ho persino perso un verde per finirlo (tranquilli ero a piedi ;)).
ma mi ha lasciato anche, da subito, perplessa.
emotivo, coinvolgente certo…. ma quel click del telefono?
chi ha messo giù?
all’inizio ho pensato lei, chiaro.
ora non sono più così sicura.
perché è come se avessi due punti di vista - un sano esercizio di distacco dai sentimenti propri e altrui?
lui, ansioso e impulsivo, convinto evidentemente che nessuna difesa sia meglio dell’attacco, specie se il rischio è che il nemico ti prenda alle spalle.
e lei - principessa, ma non necessariamente inerme o stronza - che cerca timidamente e inutilmente di interrompere il suo soliloquio travolgente.
mi chiedo se non è così che perdiamo le occasioni più vere.
talmente sommersi dalle emozioni, dalle fantasie, dai desideri, dalle paure - quelli del passato ancor prima di quelli del presente - da non fare la cosa più semplice.
tacere e ascoltare.
l’altro e noi.

lunedì, maggio 11, 2009

ora

guardami. guardaci
a questo bivio a cui sapevamo che saremmo arrivati.
e che abbiamo preferito ignorare. finora.
afferra l’attimo. specie se ti regala inaspettatamente quello che credevi definitivamente perso.
la spensieratezza, la tenerezza, l’allegria.
non si può essere tristi per sempre.
arriva all’improvviso. come il vento che spalanca le finestre di stanze soffocanti, polverose.
chiuse da estati passate e mai dimenticate.
e spazza via la nebbia densa e appiccicosa in cui era scivolata la tua vita.
riporta luce e aria, ma non nasconde nulla. neanche le ferite più profonde.
solo, ridona loro contorni netti e ombre definite.
mi specchio nei tuoi occhi come in un lago ghiacciato e mi vedo.
nuda, fragile e scoperta e vestita dell’abito più bello che riesca ad immaginare.
e vedo noi, opposti e speculari, con quella faglia quasi impercettibile di insicurezza e dolore che attraversa le nostre vite.
vorrei sapere tu che cosa vedi .
ma non parlare ora. voglio ricordare la tua voce come l’ho sentita la prima volta.
poi sarò pronta. anche a dirti addio.

(pubblicato anche su GraziaBlog: http://grazia.blog.it/2009/06/04/guardami-guardaci/)

martedì, aprile 28, 2009

stanno suonando la nostra canzone

pare che l’ultima moda sia contemplare la casa di lui o i luoghi che corrispondono a pietre miliari della vostra storia con Google Street.
ma noi apparteniamo a generazioni nate in epoche predigitali – ci ricordiamo perfino della tv in bianco e nero – e quindi gli strumenti con cui farsi male volontariamente dopo la fine di una storia sono ancora primitivi.
funzionavano su vinile come oggi nell’ipod o su youtube.
canzoni, più spesso proprio quella canzone.
era la colonna sonora del primo film che avete visto insieme.
il brano trasmesso alla radio mentre vi riaccompagnava a casa e dopo essere stati tutti e due brillanti, spiritosi, quasi euforici, ascoltavate in silenzio perché qualcosa vi bloccava le parole in gola.
può essere perfino, più prosaicamente, il tormentone estivo assolutamente demenziale battuto a tappeto sulla spiaggia dove vi siete incrociati per la prima volta.
la qualità del pezzo non è di per sé un fattore qualificante se non perché ci riesce più facile giustificare esteticamente la fissazione per “Don’t give up” che per “Vamos alla playa”.
quello che conta è che da quel preciso momento per voi la prima, se non l’unica associazione possibile, per quella canzone sarà quella con lui.
nessun problema ovvio finché la storia non finisce.
che cosa succede però alla “nostra canzone” quando non siamo più noi, ma io e te e il distacco non è stato proprio indolore?
potete cancellare ogni traccia del suo passaggio dalla vostra casa e dalla vita di tutti i giorni. selezionare con cura luoghi e persone.
persino smettere di sentire o di credere di sentire sul cuscino il suo odore, l’aroma inconfondibile della pelle mescolata al profumo e alle sigarette preferite, ma prima o poi, implacabilmente, quella sequenza di note vi colpirà a tradimento e vi riporterà proprio al momento e al luogo da cui volevate fuggire.
o a cui volevate tornare. perché sarete voi nei momenti più duri a riascoltarla per cercare di far rivivere il passato.
in questo momento critico il fatto che la canzone non fosse eccessivamente romantica – ma si tratta di rare eccezioni – aiuta.
esiste un numero limite di volte oltre il quale non è possibile ascoltare in lacrime i Righeira, mentre con Peter Gabriel può essere più complicato.
ma laddove non si viene soccorse dal senso del ridicolo, interviene il grande dottore, il tempo.
e il grande giudice.perché quando finalmente riuscirete ad ascoltare quella canzone oggi e non come fosse ieri, quello che vi lascerà dentro, che sia indifferenza, malinconia, struggimento, rimpianto sarà la misura della storia che avete vissuto.