domenica, febbraio 21, 2010

ogni fine è un inizio

ci sono momenti in cui si va avanti, anche alla cieca, per pura ostinazione.
per dimostrare qualcosa a se stessi più che per autentica necessità.
quando si dovrebbe invece trovare il coraggio per fermarsi.
tornare indietro.
e ricominciare.
anche resistere ad ogni costo può essere, oltre che autolesionistico, una semplice questione di orgoglio.
a volte bisogna semplicemente arrendersi.
toccare il fondo.
per risalire di nuovo...
e respirare a pieni polmoni.

lunedì, gennaio 25, 2010

il valore della memoria

…..quando avvertiva che la sventura stava per abbattersi sul suo popolo, il Baal Shem Tov usava ritirarsi in raccoglimento in un dato punto del bosco. ivi giunto, accendeva un fuoco e recitava al cielo una preghiera e il miracolo si compiva, e la sventura era scongiurata.
gli anni passarono e toccò al suo discepolo, il Maghid di Mesritch, intervenire per scongiurare le sventure che via via, minacciose si profilavano.
in quei momenti, il Maghid si recava nel bosco e diceva: “Signore del Cielo, prestami ascolto. come vada acceso il fuoco non lo so, nessuno me lo ha insegnato oppure l’ho dimenticato. però la preghiera sono ancora capace di recitarla, e credo che basterà”.
e il miracolo si compiva.
gli anni passarono, nubi cariche di sventura si addensavano. dal suo ritiro nascosto nel bosco Rabbi Moshe Loeb di Sesow diceva: “non so come vada acceso il fuoco, non conosco la preghiera: perché nessuno mi ha insegnato il modo e le parole, oppure perché io stesso le ho dimenticate. però il luogo so come trovarlo e forse basterà”.
e ancora il miracolo si compiva.
poi toccò a Rabbi Israel di Rizin scongiurare le minacce che incombevano sul suo popolo.
seduto su un pancaccio, si prese il capo fra le mani e mormorò: “non so come vada acceso il fuoco, non conosco la preghiera, non so più trovare quel punto nel bosco. niente di tutto questo so, nessuno me l’ ha insegnato oppure l’ha dimenticato. tutto quel che so fare, è tener viva la memoria di questa storia: basterà?
(dalla tradizione orale dei Hassidim)

mercoledì, gennaio 06, 2010

1985, a night in the fall...

...... on a train from London to the continent
The compartment door was shut noisily. I opened my eyes and saw him. He whispered “Sorry”, surprisingly with a gentle smile. I replied coldly only nodding, then I turned my back on him and started looking through the window. Only darkness outside.
I had been nervous since before the train left the station and didn’t want to talk to anyone. Certainly not to him.
Handsome? Even too attractive for my measured taste, with a light suspicion of affectation in his appearance: dyed blond hair, long, polished hands and a good imitation of an Italian style suit.
On the contrary there was no artificiality in his friendly, direct smile.
Paolo had never smiled at me that way. Even when we had met in high school.
Now he smiled with dignity and satisfaction as clever, successful young men are expected to do.
It didn’t matter until I believed I loved him. But did I still love him?
So why, when I had left for England, had I thought of that holiday with uneasiness as “my last summer of freedom”?
I should have been in seventh heaven. I was going to take my degree and get married. That was the future I had dreamt of for such a long time.
Why did I begin thinking it could be perfect, not happy?
Steve helped me to understand.
Finally we began talking. I was fed up with all my doubts and my Walkman didn’t work at all. But music was not for him a mere ruse to start a conversation with an unknown girl.
He played the guitar in a rock band still searching for success and explained his projects and dreams with an infectious enthusiasm.
He came from a working class family and I could guess he had not had an easy life, but seemed not to feel regrets nor complain. He was speaking of himself so naturally and frankly that I was slowly driven to give up my usual, formal, controlled attitude.
I answered his questions without fear or shyness, for the first time talking of my privileged life with detachment, even irony and while talking I discovered I was looking at it as a luxurious, glittering box with nothing inside.
A cage in which I had been living safely believing to be happy.
But I didn’t feel sad or angry or deceived. Only relieved and thankful.
I don’t know how much time we spent together, but I can’t forget the feeling between us.
We didn’t realize that time had passed until the train stopped.
Suddenly we were silent and shy. The train for Geneva was leaving in a few minutes and he had to join the band in Munich.
The last things I remember are a brief, soft touch of his lips and a pair of dark grey eyes looking at mine through the window.
We’ve never met again.
However my life is different from how it should have been.
I didn’t marry Paolo.
It was not easy to tell him and he didn’t understand nor forgive.
I’m alone, but not lonely.
I work hard and enjoy my job.
I’ve some new friends.
Above all I’m no longer scared of the future.
Simply I live and hope.
Somebody is coming.

domenica, dicembre 13, 2009

amore, matchpoint e resa

Questo è un post lungo. E pieno di verità scomode. Non lamentatevi di nessuno dei due aspetti.......
a me viene da dire finalmente!
non mi sono mai lamentata della sincerità nelle relazioni.
solo delle bugie nelle loro varie declinazioni. dalla presunta diplomazia all’opportunismo puro e semplice.
o peggio l’ipocrisia come garanzia del quieto vivere.
(che sappiamo comunque non essere tra i tuoi difetti).
sarò sincera anch’io. e sarà lunga anche la mia risposta.
confido che non ti lamenterai ;)
non so se le tue percentuali mutuate da Pareto aderiscano alla realtà, ma mi sento di aggiungere che il 20/80% di ciascuna di noi non coincidono mai.
immagino anche quelli degli uomini……
questo spiega perché in genere troviamo improponibili, insopportabili, etc etc. (e non solo o semplicemente per invidia) gli uomini delle nostre amiche.
davvero non vi capita mai con le donne dei vostri amici?
ovviamente non quelle che a prima vista giudicate sveglie, intellettuali, riflessive, introspettive, sensibili, un tantino esibizioniste. ed esigenti.
e che probabilmente lo sono davvero. ma ognuna in maniera diversa.
la tua, la vostra constatazione è solo l’inizio dell’esplorazione.
come Colombo credete di essere approdati nelle Indie e invece avete appena scoperto le Americhe.
se persevererete nell’errore, a colonizzare il nuovo territorio saranno altri, ammesso che ce ne siano, disposti ad andare più in là della spiaggia che hanno intravisto o appena calpestato…..
mi fa piacere che ci siano uomini che non negano il loro lato femminile.
ma se lo chiamassimo semplicemente Anima? o è ancora troppo anche per i maschi più evoluti?
(e questo è ovviamente il mio Animus forte ed esigente che parla ;))
queste donne così’ desiderabili sanno davvero che cosa vogliono?
in realtà direi che sono (siamo?) convinte di sapere esattamente ciò che desiderano e di cui hanno bisogno.
ma questo lo credono anche gli uomini ( e sono di solito meno disposti a metterlo in discussione).
l’esperienza mi dice invece che l’innamoramento non è mai così intenso e profondo come quando sconvolge abitudini collaudate, mette in discussione equilibri consolidati, mina alle basi convinzioni granitiche.
poi arriva il fatidico date.
e qui comincia la diversa percezione delle esperienze.
non so se è vero per le altre, ma lo è sicuramente per me.
non ho mai considerato un primo appuntamento un colloquio di selezione sentimentale.
non è per caso che siete voi a viverlo così al di là delle nostre intenzioni o pretese?
che si crei un perverso gioco di specchi tra attese e aspettative reciproche.
una trappola che scatta con un’ efficacia letale in diretto rapporto con le emozioni in gioco?
di fronte alla quale l’unica difesa finisce per essere il ricorso alla maschera sociale, a quello che fai e che mostri di solito agli altri invece che a quello che sei?
(posso permettermi di aggiungere che l’elenco delle qualità della tua donna ideale che potremmo compilare sulla base dei tuoi post di questi anni non è meno proibitivo dell’elenco dei requisiti delle tue prospect?
e no, non li consideriamo stupidi gli uomini appartenenti all’ipotetico 20%. se fosse così come potremmo ritenerli interessanti ;?))
riguardo alla categoria 1, alle fidanzate, sposate da sempre, ti risulta anche che siano tutte così totalmente, assolutamente felici?
o sono escluse perché sei irreprensibilmente virtuoso e il date di cui parli vuole essere esclusivamente il prologo ad una relazione non clandestina ;)?
nella categoria 2, separate/divorziate, sottoinsieme senza figli, forse le cose sono più semplici. se hanno archiviato definitivamente l’idea di averne. non se in sottofondo si sente il ticchettio inesorabile dell’orologio biologico. ho visto fare scelte improponibili, se non aberranti sotto la sua nefasta influenza.
quanto a quelle che i figli li hanno, non appartenendo alla categoria, non posso che limitarmi a quello che sento dire in giro ed ho la netta impressione che siano alla ricerca di rassicurazione profonda più che di promesse di prestazioni mirabolanti in ogni campo.
dopo una separazione o un divorzio, specie se doloroso, difficile, volente o nolente hai imparato a fare i conti con la distanza che corre tra le aspettative (o le illusioni) tue e altrui e la realtà.
poi ci sono le reduci da una storia, anzi dalla Storia, finita male. quelle con un ex che incombe come lo spettro di Banco.
e qui ok. colpita e affondata.
questa (a parte il vezzo di fare il conta numeri su Google che non coltivo) sono, anzi ero io.
ho fatto parte della categoria a lungo (troppo a lungo).
non mi sono risparmiata neppure il sequel.
che come tutti i sequel è risultato decisamente inferiore all’originale.
ma, contrariamente a quello che accade con i film, anche misericordiosamente più breve.
qui ti/vi do ragione. non è una partita, è una scommessa.
perché l’esito in definitiva dipende dal fatto che lei sia pronta a lasciare andare tutto quello a cui si è aggrappata tenacemente e contro ogni logica, a volte per anni.
e che lo sia proprio in quel momento, quel giorno o quella sera.
e se anche lo è e voi le darete il la per uscire fuori dal cerchio, le ci vorrà comunque del tempo per realizzarlo appieno.
e vedervi davvero, non solo guardarvi dicendo a se stessa “forse…”.
tocca a voi decidere se vale il rischio e l’attesa….
superata la fase 2, iperboli ed esagerazioni a parte - basta molto meno di quello che tu elenchi puntigliosamente per essere considerate nel novero - direi che ora potrei rientrare, o meglio immagino di essere considerata, nella categoria 3, sottospecie donna sul piedistallo.
in realtà non posso dire di non essere stata giudiziosamente avvertita fin dall’adolescenza da tutte le donne di famiglia sui rischi di un certo mio modo di essere, in particolare sulle sue conseguenze nefaste sulla mia vita sentimentale.
ma a lungo ho considerato queste perle di saggezza frutto di una mentalità sorpassata.
finché la fatidica parola piedistallo (pericolosamente accostata all’immagine di Minerva) l’ha pronunciata il mio più caro amico, uno che conosco praticamente dalla culla.
e il fatto che si riferisse a me liceale non è riuscito ad attenuare il colpo della rivelazione.
che io l’avessi sempre percepita e vissuta in un altro modo da quel momento in poi non ha contato più.
ma le diagnosi, anche le autodiagnosi, per quanto precise anticipano semplicemente la cura e non ne condizionano più di tanto i tempi. e soprattutto i modi, quasi mai indolori.
ti chiedi perché ad incantarci così spesso siano uomini che in fondo sfruttano la nostra forza e finiscono per farci tradire quelli che apparentemente sono i nostri principi più saldi?
perché questi uomini istintivamente percepiscono quello che non ammetteremmo mai spontaneamente.
quanto siamo stanche in realtà di essere forti, competenti, determinate.
sempre e comunque.
per noi stesse e spesso anche per gli altri.
ci permettono, anche a dispetto e discapito di noi stesse, di essere dipendenti.
di affidarci finalmente, seppure in modo perverso, a qualcuno.
non è quello che desideriamo nel profondo quando ci lasciamo andare a sognare, ma all’inizio è la cosa più vicina che pensiamo di poterci permettere.
finché non ci rendiamo conto della trappola in cui siamo cadute.
mendicare come una concessione altrui qualcosa di cui dovremmo rivendicare il diritto in prima persona.
o finché un uomo diverso, non monosillabico, non emotivamente reticente, non avrà la voglia e il coraggio di andare più in là della facciata della dichiarata sicurezza e autonomia almeno quanto noi ne abbiamo di rinunciare alla competizione e al controllo.
nonostante tutta questa forza, reale e/o presunta. abbiamo paura di comunicare? ci aggrappiamo ai segnali per non sentire le parole?
davvero credi che la comunicazione si esaurisca nelle parole?
parliamo continuamente con il corpo, con i gesti, con il tono della voce.
spesso esprimiamo a livello non verbale qualcosa di cui noi stessi non siamo ancora neppure consapevoli.
si può discutere sull’enfasi che noi donne diamo a tutto questo.
non tanto direi rispetto alle parole – non ne abbiamo paura, semplicemente abbiamo imparato a diffidarne. per questo cerchiamo conferme altrove - quanto ai fatti concreti.
ma è davvero più discutibile della vostra indifferenza o sottovalutazione di questi presunti dettagli?
e poi c’è lo sguardo. quello sguardo che ti fa il giro dentro.
che dice “se voglio posso farlo, ma lo vuoi davvero?”
e mi fa venire in mente le intimidazioni di un Charles Barkley o di un Dennis Rodman nei confronti degli avversari.
un modo per svelare le debolezze dell’avversario e non lasciare spazio alle proprie.
perché vedi qui siamo ancora alla sfida, alla prova di forza.
“la miglior difesa è l’attacco” sostiene qualcuno.
mi verrebbe spontaneo chiedere “se non di loro e di comunicare, di che cosa hai paura tu?”.
che ricambino lo sguardo e ti scrutino allo stesso modo ? di rimanere intrappolato nella loro anima?
perché solo gli incoscienti, non i coraggiosi, non hanno paura di nulla.
ma un date, e poi in prospettiva una storia, in definitiva non è una partita Pistons vs. Bulls e neanche un match di tennis.
non dovrebbe esserlo almeno. se non, e con un minimo di ironia, nella fase preliminare.
il gioco vero comincia fuori dal campo.
quando non importa più chi vince o chi perde.
certo non con lui (o lei) se ti prende davvero dentro.
quando cedere o rinunciare a qualcosa non è più un punto d’onore, una questione di vita o di morte.
anche se ho la netta impressione che molte di noi si crogiolino nella stessa vostra presunzione (nel senso etimologico del termine): “gli uomini non sanno che noi donne sappiamo. e che sappiamo che loro non sanno".
rischiando che la somma algebrica di ciò che sappiamo e non sappiamo ci riporti entrambi inesorabilmente a zero.
forse dovremmo semplicemente avere il coraggio di ammettere che sulla base delle esperienze passate nostre e altrui, ci sforziamo di tracciare mappe e fare previsioni per ottimizzare il risultato finale e minimizzare le perdite.
ma l’amore non è un’operazione di marketing.
men che meno “l’amore che strappa i capelli”.
quello che ti sorprende all’improvviso e ti mozza il respiro. e poi mette radici nella tua vita, butta foglie e frutti.
è un cigno nero invece.
un evento imprevedibile e non riducibile a nessuno schema conosciuto.
di fronte a cui, sostiene qualcuno che proprio tu ci hai fatto conoscere, l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che:
“non sappiamo quello che non sappiamo”.
non si tratta neanche di fare i conti con lo scarto prevedibile tra la mappa e il viaggio, ma di tracciare i percorsi e i confini mentre esploriamo un territorio ancora sconosciuto, l’altro e noi….
a patto che il coraggio e la perseveranza abbiano la meglio sulla prudenza o sul puro spirito di conservazione.
perché se dovessimo arrenderci a questi ultimi non avremmo più alibi, non potremmo più accusare la vita infame o il destino cinico e baro e finiremmo per nutrirci solo di rimpianti…….

lunedì, novembre 30, 2009

lo sguardo di un uomo......

che si posa su una donna, la sua donna e che poi la rappresenta, la trasforma, la trasfigura su carta, su tela, sulla lastra di incisione, con la matita, con il pennello, con il bulino...
Edward Hopper ebbe nel corso della sua vita artistica un'unica modella, la moglie Josephine.percorrendo le sale della mostra a lui dedicata a Palazzo Reale impariamo a riconoscerla nelle infinite metamorfosi che l'occhio e la mano del suo uomo le regalano.
sappiamo che è lei, non potrebbe essere altrimenti, ma è anche ogni volta un simbolo, la donna colta nei momenti più raccolti, più intimi, più segreti. nella solitudine, nell'attesa o, come in Evening Wind (qui sopra), nello stupore dell'inaspettato e forse, in segreto, desiderato.
lo sguardo è lucido, penetrante, mai impietoso, lascivo o compiaciuto.con una significativa, celeberrima eccezione.
ma in Girlie Show il corpo femminile è esibito sul palcoscenico, enfatizzato dalla luce dei riflettori, filtrato e reso quasi grottesco dall'occhio lubrico dello spettatore invece che da quello incantato dell'amante.
quasi a sottolineare il sottile, ma percettibile confine tra erotismo e pornografia.
e, come a ribadirlo, lo sguardo si posa poi sulla serie degli schizzi in bianco e nero in cui basterebbe un minimo scarto a passarlo.
ma, a dispetto delle pose infinitamente più intime e potenzialmente oscene rispetto al passo di danza ostentato della spogliarellista del dipinto, questo non avviene.
siamo di nuovo in privato, nella penombra ed è come se, tracciandone i contorni sulla carta, la mano del pittore riaccarezzasse un corpo conosciuto e amato nel senso più profondo del termine e per questo ai nostri occhi squisitamente erotico.

martedì, novembre 24, 2009

tristi a Natale...

lo ammetto, sono un po’ strana.
non so se in fondo sono rimasta una contadina, se subisco ancora il fascino del ricordo del ritorno a scuola dopo le vacanze estive o se sono davvero lunatica e umorale, come sostiene qualcuno, ma per me l’anno nuovo comincia con la luna d’autunno, Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
quindi niente bilanci di vita a Capodanno (che in genere mi annoia a morte).
è vero però che Natale con il suo carico simbolico di speranza, di luce nel cuore dell’inverno, fa inevitabilmente da cartina di tornasole agli stati d’animo, specie di quelli più cupi.
per questo, anche nei tempi più bui, non ho mai rinunciato a festeggiarlo, per quanto potesse essere duro o faticoso e pesanti le circostanze.
perché farlo avrebbe significato rinunciare non al presente, ma al futuro.
fino a due anni fa, quando, in uno stato d’animo non molto diverso da quello icasticamente descritto qui, mi sono arresa.
ho detto basta.
semplicemente se non era Natale dentro era inutile che fingessi lo fosse fuori.
da lì, da quel Natale di cenere, ho ricominciato.
l’anno scorso di questi tempi avevo già fatto un bel po’ di strada dal presunto punto di non ritorno, ma era come se stessi ancora ferma sulla soglia.
incerta se e come compiere il primo passo fuori dall’uscio.
poi, totalmente inaspettato, è arrivato qualcuno che semplicemente mi ha teso la mano.
l’ho afferrata e sono uscita.
da quel momento non mi sono più fermata.
ho archiviato il passato, lasciato dietro di me tutto quello che con immensa fatica continuavo inutilmente a trascinare, per riprendere a camminare leggera e percorrere nuove strade.
l’anno che se ne sta andando ha portato via con sé una persona che mi era troppo cara per catalogarlo come un anno felice, ma certo mi sento serena, forte, persino spensierata, come forse mai prima nella mia vita.
la verità è che i Clarence - gli angeli custodi di II classe - si incontrano non solo nei film di Capra, ma nella vita di tutti i giorni, anche sotto le sembianze più improbabili.
può esserlo ciascuno di noi, persino involontariamente o al di là delle proprie intenzioni.
e se lo siamo stati almeno una volta per qualcuno - sono convinta - prima o poi, quando ne avremo bisogno, la vita ci restituirà il favore…..

domenica, novembre 15, 2009

di capelli femminili e altri demoni...

(........) a domanda risponde:
“confesso Vostro Onore di essere colpevole dei reati ascritti a registro e da lei puntigliosamente elencati e mi appello alla clemenza della Corte.
anche volendo dimenticare gli anni dell’infanzia in cui le responsabilità tricologiche erano condivise con la mia mamma - a cui devo comunque riconoscere di aver sempre detestato, come me, gli orpelli e quindi non avermi imposto nastri, fiocchi e quant’altro – negli anni della giovinezza non mi sono risparmiata nulla di tutto quello che presumibilmente la fa inorridire.
dalla permanente effetto frisè ( o “pecora della Nuova Zelanda” per le lingue biforcute come mio fratello), in tempi in cui la procedura esalava vapori tossici degni del petrolchimico di Marghera, ai colpi di sole, abbandonati quando mi sono resa conto con raccapriccio che stavo diventando una “finta bionda”, alla temporanea resa al mio sogno segreto di essere una rossa irlandese, che ahimè non poteva che fare vistosamente a pugni con il mio incarnato da bruna mediterranea.
ho frequentato parrucchieri di ambo i sessi e di varie inclinazioni sessuali, ma non posso dire che siano i soli colpevoli delle mie vicissitudini in questo campo.
sono certo inclini agli esperimenti, anche arrischiati, specie sul colore, ma nulla che la determinazione della cliente non possa arginare.
e spesso prodighi di ottimi consigli quando si tratta di dissuadere chi si ostina a pretendere tagli che donano solo alle modelle dei book.
ho portato i capelli lunghi ben oltre le spalle per poi tagliarli cortissimi a segnare un passaggio di vita fondamentale.
e spero mi crederà se le assicuro che il mio ultimo pensiero in quei frangenti potesse essere lo sguardo critico di un eventuale corteggiatore.
li ho lasciati crescere liberamente durante un lutto sentimentale per sacrificarli di nuovo a segnare il distacco definitivo.
con il tempo sono riapprodata al mio castano naturale con qualche riflesso che lo è meno e ad una nuova versione del taglio che mi ha sempre donato di più. media lunghezza, scalato, riga a tre quarti.
per capirci quello reso in celebre in”Friends” dalla santa patrona laica di tutte le cornute, Jennifer Aniston.
oggi come oggi neanche se in palio ci fosse un invito a cena con Hugh Laurie mi farei la riga in mezzo o la frangetta.
mi sento anche di distruggere quella che ritengo sia una sua illusione.
non credo che il rapporto viscerale che noi donne coltiviamo i capelli, ma anche più in generale con il nostro aspetto fisico, dipenda esclusivamente dallo sguardo maschile, anzi.
o che gli uomini in generale osservino questo particolare con tanta cura e che da esso dipendano le nostre sorti sentimentali.
è vero, ci amano di più con i capelli lunghi, ma al primo impatto nessun taglio per quanto infelice ha mai compromesso l’effetto panoramico di una quinta naturale o di una vertiginosa minigonna su gambe da gazzella.
le assicuro poi che per quanto amiamo, coccoliamo, maltrattiamo, i nostri capelli, ci sono giorni, o settimane come questa a Milano, in cui il grigiore e l’umidità non deprimono solo l’umore, ma anche il volume delle chiome, in cui ci piacerebbe essere uomini e poter dare mano alla macchinetta per un taglio da marine.